MES – Vediamoci chiaro

A seguito di aspre critiche, sia dai partiti di opposizione che da una parte significativa della maggioranza di governo, la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) rischia di essere nuovamente bloccata.

Per affrontare questo delicato argomento, colpito ancora più profondamente dalla difficile situazione che l’Europa, e tutto il mondo, sta affrontando a causa del Covid-19, c’è bisogno di capire prima di cosa si stia realmente parlando e capire se bloccare il MES sia realmente nell’interesse dell’Italia.

Facciamo un passo indietro: prima del 2010 nessuno Stato Membro aveva manifestato problemi riguardanti l’art. 123 dei Trattati che vieta agli stati membri (e alla BCE) di ‘salvare’ paesi in difficoltà, in quanto gli Stati Membri non devono essere incentivati a indebitarsi nella convinzione che altri paesi correranno in loro soccorso.

All’inizio del decennio scorso, però, alcuni paesi Ue si trovarono sull’orlo del tracollo finanziario con una crisi rivelatasi spietata nei confronti l’economia reale e con innumerevoli tagli ai posti di lavoro.

Il MES nasce in questo periodo storico, dopo l’EFSF, un fondo temporaneo che aveva concesso 175 miliardi di euro a Irlanda, Grecia e Portogallo.  

A richiedere fortemente la creazione del MES fu proprio l’Italia, che rischiava di non avere ancore di salvezza europee nel caso il ripagamento del proprio debito pubblico risultasse insostenibile.

Il MES è una organizzazione internazionale costituita con un Trattato affiancato – ma non incluso – in quelli Ue e che può contare su un capitale di 700 miliardi di euro di cui gli stati membri iniziano a versare pro quota 80 miliardi di euro (con quasi il 27% del capitale la Germania è il primo contributore; l’Italia partecipa con il 18%).

Il MES può concedere prestiti ai paesi in difficoltà – e lo ha fatto finora con Cipro (€6,3 miliardi), Grecia (€61,9 miliardi) e Spagna (€41,3 miliardi) – ma a fronte di una rigida condizionalità.

Chi riceve i prestiti si obbliga ad approvare un memorandum d’intesa (MoU) che definisce con precisione e rigore quali misure si impegna a prendere in termini di tagli al deficit/debito e di riforme strutturali.

Il MES prende le proprie decisioni con una super maggioranza dei voti dei paesi membri e opera in stretto coordinamento con la Commissione europea cui spetta, ad esempio, la negoziazione sul MoU con il paese coinvolto e con la BCE e il FMI (nel caso in cui quest’ultimo venga coinvolto nel salvataggio).

Ciò che si teme oggi è che il MES, così come è oggi, non risulti pienamente adeguato nel caso si ripresentino condizioni che mettano a rischio la tenuta dell’Eurozona. Si sente quindi il bisogno di una riforma.

Dopo una lunga negoziazione, si è giunti a una soluzione di compromesso che introduce due rilevanti riforme.

La prima è di grande importanza e urgenza: sarà proprio il MES a fornire il backstop al Fondo di risoluzione comune delle banche. In pratica se una o più banche fossero in grave difficoltà, il MES sarà il garante del Fondo di risoluzione comune: quest’ultimo è un fondo in corso di creazione ed è stato pensato per accantonare, tramite contributi delle banche dei paesi membri, le risorse necessarie per ‘salvare’ banche di interesse per l’intera Ue. Una riforma non facile da accettare per i paesi del Nord Europa che temono di dover far fronte agli eccessivi rischi assunti dalle banche degli altri paesi, a partire da quelle del sud dell’Europa. Val la pena al riguardo rilevare che il salvataggio delle banche in crisi può avvenire anche in paesi con conti pubblici in ordine (come ad esempio la Germania), anche se appare più probabile nei paesi finanziariamente più fragili del sud dell’Europa.

Ma la riforma del MES che ha attirato maggiori critiche è la seconda, ovvero quella che riguarda il ‘salvataggio’ di interi paesi. Questa riforma introduce novità relative alle fasi da seguire per il ‘salvataggio’. Bisogna anzitutto procedere con la ristrutturazione del debito del paese interessato tagliando il valore dei titoli del debito pubblico (c.d. ‘haircut’).

La logica è la seguente: chi ha acquistato il titolo di un paese con conti pubblici traballanti lo ha fatto perché attratto dalla prospettiva di un maggior guadagno in termini di interessi rispetto a quanto offerto da paesi con conti pubblici solidi. L’ha fatto quindi con una prospettiva di lucro, ma assumendosene anche i rischi. Appare naturale quindi che paghi le conseguenze di questo rischio con una decurtazione nel valore dei titoli che possiede. Il MES interverrà, se necessario, solo dopo questa decurtazione. I paesi del Nord spingevano perché la decurtazione (ristrutturazione del debito) avvenisse il prima possibile, per limitare al massimo l’attivazione del MES (e quindi il rischio di mettere mano al loro portafogli).

In una prima ipotesi ad esempio il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, spingeva per una ristrutturazione automatica da attivare secondo regole trasparenti e predefinite. Questa sarebbe stata una opzione potenzialmente pericolosa per un paese altamente indebitato come il nostro perché avrebbe potuto generare spirali speculative sui mercati: i grandi speculatori avrebbero infatti potuto ‘scommettere’ contro il paese in difficoltà spingendolo verso la soglia di attivazione automatica secondo il più classico esempio della ‘profezia che si auto-avvera’. Questa prospettiva è stata però fortemente attenuata nel corso della negoziazione: nell’ultimo testo del Trattato sul MES si prevede che prima dell’avvio della ristrutturazione del debito si proceda a una analisi della sostenibilità del debito, legata quindi alla futura capacità del paese di ripagarlo. Una analisi che verrà fatta sia dalla Commissione che dal MES. L’affiancamento del MES (istituzione intergovernativa), alla Commissione (istituzione sovranazionale) è uno dei punti critici della riforma: il MES prenderà in considerazione principalmente la capacità del paese di ripagare il prestito del MES stesso (e non necessariamente l’interesse dell’intera Ue, come fa invece la Commissione). Se il risultato fosse negativo, il paese sarebbe tenuto alla ristrutturazione del proprio debito, peraltro con regole di coinvolgimento dei detentori dei titoli rese più veloci e ordinate. Se il paese non presenta un debito sostenibile - malgrado la ristrutturazione del proprio debito o se si rifiuterà di provvedervi - non potrà ricorrere ai prestiti del MES.

Il MES rappresenta comunque un importante esercizio di solidarietà europea. Una solidarietà ancora più importante per i paesi più indebitati, a partire dall’Italia che attraversa un momento molto difficile e dovrà fare i conti con l’ingente impatto economico negativo legato al corona virus. 

Quale alternativa avremmo se il MES non ci fosse? Se i mercati giudicassero insostenibile il nostro debito ci costringerebbero, di fatto, a ristrutturarlo in modo traumatico e disordinato proprio perché senza l’intervento di un arbitro pubblico (e potenziale finanziatore) come il MES. La vera questione per l’Italia non è tanto la riforma del MES, che in ogni caso è meglio avere che non avere, quanto piuttosto quella della sostenibilità del proprio debito.

Articolo di riferimento: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mes-cose-e-come-funziona-25385